L’arcivescovo di Milano sull’eredità di Francesco e il futuro della Chiesa.
In questi giorni di piena primavera, la grandiosa facciata del Duomo di Milano splende di luce quanto le sale dell’Arcivescovado trasudano di storia. A renderle accoglienti è la semplice cordialità di monsignor Mario Delpini, che qui accoglie chiunque con uno stile domestico e sobrio. È così che, alla vigilia del Conclave, il suo sguardo sul futuro della Chiesa appare insieme partecipe e distaccato, senza ansia, come chi si affida alla sapienza dello Spirito.
Delpini si definisce un “provinciale”, legato alla sua diocesi dalla nascita alla missione episcopale. Non prova dispiacere a non essere tra gli elettori in Conclave, ma solo il dispiacere che qualche milanese possa sentirsi mortificato per questo. La fiducia resta nello Spirito Santo, che non farà mancare nulla alla Chiesa per la sua missione.
In queste ore, l’arcivescovo si prepara nel modo che ritiene più necessario: pregare, evitando di farsi distrarre dal chiacchiericcio mediatico. La preghiera, dice, è anzitutto disponibilità a lasciarsi guidare da Dio e a compiere la sua volontà. Non si tratta di invocare un nome o un volto, ma di chiedere che ciascuno sia reso docile allo Spirito.
Per comprendere il senso dell’affermazione «il Papa lo sceglie lo Spirito Santo», Delpini invita a non intenderla in modo miracolistico, ma come frutto della libertà interiore che il Signore può suscitare nei cuori, aiutando a superare paure, ambizioni e schemi, anche nei cardinali riuniti in Conclave.
Guardando ai Papi del recente passato, Delpini ne coglie i tratti essenziali: la popolarità di Giovanni XXIII, l’intensità di Paolo VI, il sorriso di Giovanni Paolo I, l’ardore di Giovanni Paolo II, il rigore di Benedetto XVI e la testardaggine evangelica di Francesco. Un successore di Pietro, più che possedere doti particolari, deve essere capace di aiutare tutti a essere cristiani, con tenacia e dedizione.
Resta forte per Delpini il valore della Evangelii gaudium, cuore del pontificato di Francesco: il Vangelo come fonte di gioia, anche in un mondo segnato dalla tristezza e dall’indifferenza. È questa gioia che la Chiesa deve custodire e annunciare, insieme a temi come l’ecologia integrale e la bellezza della vita familiare raccontata in Amoris laetitia.
Ricorda con emozione la visita di Francesco a Milano nel 2017, la folla radunata a Monza, i gesti di vicinanza ai carcerati e agli ultimi, e l’invito ai diaconi a custodire il servizio nella Chiesa. E in Vaticano, la familiarità del Papa che si intratteneva con i partecipanti al Sinodo prima di ogni sessione, con uno stile semplice e accogliente.
In questi giorni di attesa, l’arcivescovo sogna una Chiesa unita, che sappia accogliere le differenze senza dividersi; libera, povera e slegata dal potere; e lieta, capace di trasmettere la gioia del Vangelo. È questo che augura anche a chi entra in Conclave: di essere docile allo Spirito, sapendo che è lì la vera sapienza.